LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 14

 

31 gennaio 2016 – 4ª domenica del Tempo Ordinario

Ciclo liturgico: anno C

 

Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,

a proclamare ai prigionieri la liberazione.

 

Luca 4,21-30  (Ger 1,4-5.17-19  -  Salmo: 70  -  1 Cor 12,31-13,3)

 

O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo.

 

  1. In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
  2. Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
  3. Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».
  4. Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
  5. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese;
  6. ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne.
  7. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
  8. All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.
  9. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
  10. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 

Spunti per la riflessione

In cammino

Oggi si realizza la profezia di Isaia, oggi siamo chiamati, particolarmente in questo Giubileo, a sperimentare l’anno di grazia e di misericordia del Signore.

Per tornare all’essenziale, per sperimentare l’essenziale, per raccontarlo a quanti incontriamo sulla nostra strada.

Gente spaventata, o inacidita, rancorosa e scoraggiata. Anche fra i credenti. Anche fra di noi.

Travolti dalla follia omicida e suicida del mondo, allibiti davanti al narcisismo gaudente che ci porta verso il baratro, addolorati dai troppi scandali che coinvolgono uomini di Chiesa.

A noi, proprio a noi, il Signore, indicandoci la Parola, quella proclamata da Esdra al popolo, domenica scorsa, chiede di aprirci all’oggi, smettendola di guardare al passato.

Gesù ha concluso la lettura del brano nella sinagoga della piccola Nazareth.

E, chiudendo il rotolo, non ha commentato il brano citando qualche dotto rabbino, ma ha chiesto a tutti di vedere l’oggi.

Bellissimo. Grandioso.

Peccato, però, che le cose si mettano male.

Stupori

La descrizione di Luca è volutamente ambigua: i concittadini del rabbì sono meravigliati, colmi di stupore. Ma non è lo stupore di chi riceve una notizia davvero inattesa, finalmente positiva, ma lo stupore negativo di chi non si capacita dell’arroganza del figlio del falegname, illetterato e modesto, che pretende di far iniziare la redenzione, la salvezza del popolo.

Cosa che avverrà, certo, ma non come se l’aspettavano. E nemmeno come ce l’aspettiamo noi.

Gesù è troppo semplice, la sua storia conosciuta, le sue vicende famigliari note a tutti e fonte di qualche pettegolezzo. Più volte, nei vangeli, Gesù sarà accusato di essere poco religioso, poco rispondente alle nostre attese messianiche.

Non è buffo il fatto che Dio non risponda alle nostre attese?

Vedono un falegname, non il profeta.

Vedono male. Perché non guardano col cuore.

Sguardi

È lo sguardo che fa di una donna, di un uomo, la donna, l’uomo. Quello che senti di poter amare per tutta la vita e oltre.

È lo sguardo interiore che disegna la bellezza di un panorama, di una situazione, di un oggetto, non necessariamente i canonici estetici o le mode.

È lo sguardo più autentico sulla storia, la nostra, quella grande, dei popoli, a interpretare gli eventi, a coglierne un senso o, almeno, un orizzonte.

E lo sguardo, come abbiamo letto nella grandiosa riflessione di san Paolo ai Corinti, è determinato dall’amore. Uno sguardo benevolo, colmo di grazia, colmo di attesa, colmo di benevolenza.

Quello sguardo che troppo spesso manca alle nostre quotidianità, immusonite e ingrigite dal dolore o, semplicemente, dalla noia di vivere.

Che bello sarebbe impegnarci, in questo anno giubilare, a guardare noi stessi e coloro che ci stanno attorno con lo sguardo con cui Dio vede noi e la Storia!

Poiché abbiamo incontrato (o possiamo incontrare, o incontreremo) lo sguardo benevolo del Padre su di noi, siamo in grado di vedere tutto in un’altra prospettiva.

Questo avverrà in pienezza più avanti, quando vedremo Dio faccia a faccia.

E qui, almeno un po’, nelle succursali del Regno che sono (che potrebbero essere) le nostre comunità cristiane.

Ma qui e ora, è certo, ci vuole pelo sullo stomaco per credere alle parole di Gesù. A rintracciare nell’oggi caotico e deprimente il sorriso di Dio

Questo è un tempo per cristiani forti e motivati, non scherziamo.

 

Muro di bronzo

Come quando Geremia si è trovato a custodire la fede in un momento di enorme sbandamento, di perdita della fede e dell’identità. Intendiamoci: allora, come forse accade oggi, l’apparenza era salva. Stuoli di profeti di corte applaudivano al re di Israele che giocava a fare la grande potenza e Geremia, solo, irriso, dileggiato, perseguitato, era l’unico a parlare con verità.

Non amava fare il profeta, Geremia.

Né lo aveva chiesto.

Ma ci si era trovato, seguendo la bellezza di Dio, lasciandosi sedurre.

E Dio non gli aveva promesso una vita semplificata, anzi.

Ma di farlo diventare un muro di bronzo. Per non cedere.

Senza diventare dei fanatici, senza erigere barriere, siamo chiamati a conservare la purezza della fede così come ce l’hanno trasmessa gli apostoli.

Migliaia di fratelli e sorelle, oggi, non durante le persecuzioni di Nerone, stanno pagano con la vita la propria fede.

Si mise in cammino

La conclusione del brano del vangelo è straordinaria.

Gesù, condotto sul ciglio del paese per essere lanciato nel vuoto, si gira, passa in mezzo ai suoi incarogniti concittadini, e tira diritto per la sua strada. Scrive Luca: si mise in cammino.

Un cammino, nel suo vangelo, che durerà per venti capitoli, fino a Gerusalemme, fino al Golgota.

Se vogliamo essere discepoli del Maestro, prepariamoci a qualche incomprensione, a qualche scontro, a qualche scelta dolorosa.

Davanti all’incomprensione Gesù non si chiude in se stesso ma si mette in cammino.

Imparassimo!

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).

Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).

Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.

Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.

Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.

Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.

Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.

Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.

 

Esegesi biblica

         

GESU' A NAZARETH (4, 14-30)

Composta quasi interamente da brani propri di Luca, la scena della predicazione di Gesù nel villaggio “dove era stato allevato” ha un carattere programmatico assai accentuato; essa annuncia infatti dei temi che occuperanno un posto centrale nell’insieme di Lc-Atti.

Il sommario introduttivo (vv. 14-15) ripete ancora una volta che Gesù è dotato dello Spirito profetico che, dopo il deserto, lo guida sui luoghi del suo ministero. Il contenuto dell’insegnamento di Gesù non è precisato, mentre in Mc 1,15 egli predica esplicitamente il regno di Dio. Le prime parole pubbliche di Gesù saranno, dunque, la sua interpretazione di Isaia. Detto ciò, Luca noterà spesso che Gesù insegna, senza precisarne il contenuto; il fatto è che prendere la parola è un atto in sé già significativo, indipendentemente dal contenuto. A differenza del Battista, Gesù parla spesso in luoghi e tempi specificatamente adibiti a questo scopo: è solito entrare in una sinagoga il giorno di sabato.

Marco (1,14-15) e Matteo (4,12-17) aprono il ministero pubblico di Gesù con un sommario breve e generale: “Gesù percorre la Galilea annunciando che il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo”. Luca invece preferisce aprire il ministero pubblico di Gesù con un discorso programmatico, in cui non compare il termine “Regno”, ma viene esplicitato il contenuto: “l’oggi della salvezza, il compimento delle Scritture, la centralità di Gesù”. Per questo scopo Luca pone l’episodio all’inizio della vita pubblica di Gesù, mentre Marco e Matteo pongono l’episodio di Nazaret più avanti, a missione inoltrata.

 

La prima parte del racconto (vv. 16-22) descrive una parte del culto sinagogale.

NOTA:   La sinagoga non era il tempio, ma la sala di adunanza dove gli ebrei pregavano, celebravano la liturgia della Parola e ricevevano la benedizione. Nella sinagoga non si offrivano sacrifici, ed era priva dell’altare. In una specie di Arca si conservavano i rotoli della Bibbia, contrassegnati da nastri colorati. Si leggeva la Torà (Pentateuco) e un Profeta, cui seguivano opportune riflessioni del lettore. Chiunque poteva presentarsi a leggere e commentare, ma se era presente un Rabbino si dava la precedenza a lui. Gesù era solito frequentare la sinagoga il sabato. Non siamo in grado di ricostruire con certezza il servizio sabbatico della sinagoga così com’era ai tempi di Gesù, ma in un periodo più tardivo esso includeva:

a)      due preghiere, lo Shèmà (Dt 6, 4-9; 11, 13-21; Num 15, 37-41; cfr. Lc 10,27) e lo Shemoneb eireh (Diciotto Benedizioni).

b)      Due letture, una della Torà e l’altra dai Profeti.

c)      Una spiegazione od omelia (cfr. At 13,15).

d)      Infine, la benedizione sacerdotale (Num 6, 22-27).

 

Essa tralascia le preghiere iniziali e la prima lettura, tratta dalle legge di Mosè, conservando solo una lunga citazione della seconda: la profezia di Is 61,1-2. Luca ne omette solo il verso minaccioso: “(a proclamare) un giorno di vendetta da parte del nostro Dio”. Secondo l’oracolo, il compito dell’inviato è quello di annunciare con vigore la scomparsa di quello che fa soffrire i poveri e gli oppressi, di proclamare l’inizio di un’epoca in cui l’uomo sarà accolto da Dio.

Gesù spiega agli abitanti di Nazaret: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura per voi che mi ascoltate”. Ciò che più importa, è notare che Gesù non dà la spiegazione esegetica del testo, né si attarda in alcun modo alla ricerca di applicazioni morali (come facevano alcuni predicatori nelle riunioni della sinagoga), ma attira l’attenzione sull’evento che lo compie: la sua venuta, appunto. Il consacrato e l’inviato dello Spirito è Lui. L’attenzione passa così dalla Scrittura al predicatore: “Gli occhi di tutti erano fissi sopra di Lui”. L’ “oggi” è la novità di Gesù. L’ “oggi” è un termine caratteristico di Luca (2,11; 3,22; 5,26;13, 22-23; 19,5; 23,43), indica che gli ultimi tempi sono iniziati, che il tempo adatto è in svolgimento, che la storia degli uomini sta attraversando un momento eccezionale di grazia. L’oggi non è soltanto una nota cronologica riguardante Gesù: si prolunga nel tempo della chiesa. Il tempo messianico è in svolgimento e il nostro tempo è l’oggi di Dio. Ora, pur rimanendo “stupiti per le parole di grazia che pronunciava”, gli abitanti di Nazaret non vedono che un aspetto di Gesù (il “figlio di Giuseppe”), non scorgono in lui il profeta ultimo che pure indicava Is 61.

 

Nella seconda parte del racconto (vv. 23-27 - che non ascolteremo domenica), Gesù prende la parola di sua iniziativa in due fasi. La domanda del v. 22 lo lascia capire: la gente di Nazaret reclama un segno e Gesù anticipa la loro richiesta (v. 23) ricorrendo a un proverbio. Egli dovrebbe confermare le sue parole compiendo per loro, nella sua patria, atti di potenza simili a quelli compiuti a Cafarnao. Luca, infatti, li racconterà poco più avanti, ai vv. 31-41.

A questa pretesa, Gesù risponde con un altro proverbio (v. 24) e con due esempi (vv. 25-27) tratti dal corpus dei profeti (cfr. 1Re 17; 2Re 5). Anche questa volta, Gesù non dichiara apertamente che lui è il profeta, anche se in questi versetti tutto lo lascia capire. La patria che rifiuta di accogliere colui che annuncia un “anno di grazia” (v. 19), non è soltanto Nazaret, ma anche Israele. Il segno miracoloso che Gesù offre ai suoi concittadini non si compie presso di loro, ma fuori della sua patria, poiché essi respingendo questa universalità, rifiutano anche l’inviato che ne è il portatore.

 

La conclusione del racconto (vv. 28-30) è anch’essa programmatica: il privilegio di Israele è giunto al termine e il fatto che Dio accoglie le nazioni pagane, questo provoca la collera dei “giudei”. Qui viene prefigurato un racconto di At 13 dove si parla che i giudei di Antiochia di Pisidia passano dall’atteggiamento benevolo verso Paolo al furore, vedendo i pagani ascoltare la parola del Signore (At 13,44-45). Se il v. 24 conteneva già una minaccia implicita nei confronti di Gesù, il v. 29 descrive decisamente un primo tentativo di uccisione. La cacciata di Gesù “fuori dalla città” da parte degli abitanti di Gerusalemme - come avverrà per Stefano At 7,58 - e il suo supplizio vengono così prefigurati (cfr. At 3, 14-15). A partire da questa scena, veniamo a sapere che il titolo di “profeta” per Gesù significa il rifiuto e la passione: Lc 13,33-34 preciserà solo il luogo di questo delitto. Per il momento non è ancora l’ora degli avversari (22,55) e Gesù prosegue la sua strada che lo porterà a Gerusalemme.